RACCONTI SENZA INIZIO
INIZIO DEI RACCONTI SENZA INIZIO
|
Racconto 1
Susy Fiore
AU CLAIR DE LA LUNE
Storia a rovescio, ovvero “Il sonno della ragione genera racconti pseudogothic”
Questa storia narra di una casa misteriosa su di un’alta scogliera, di una famiglia oppressa da un cupo segreto, di una donna perseguitata dal fato.
Incontriamo la donna, Gèneve, all’inizio del nostro racconto, quando era una bimba, orfana di entrambi i genitori; ella viveva nell’antica magione insieme ai suoi zii e a sette cugini. Questi ultimi, più grandi di lei, la ignoravano mentre gli zii la trattavano con gelida severità.
Lei però non se ne accorgeva.
Le tenevano compagnia le ombre, e in un’antica casa le ombre – si sa – sono tante......
Gli anni passarono. Nella grande casa tutto era cambiato. Gèneve era diventata una donna esile, pallida, quasi diafana. I cugini erano partiti per il mondo in cerca di avventure, e lei sapeva che se li avesse incontrati non avrebbe riconosciuto nessuno di loro, nemmeno Mark, il più giovane, di cui era segretamente innamorata.
La fanciulla viveva un’esistenza malinconica, sospesa fra la realtà e le sue fantasticherie. Passeggiava spesso per il parco, soprattutto di sera, quando le stelle e la luna baluginando delineavano impalpabili presenze. Si sedeva su di una panchina nascosta fra i rami di un viburno e ascoltava i sussurri delle foglie e del vento.
Una notte di luna, Gèneve sedeva nel suo solito anfratto aspirando i profumi mielati del viburno e del caprifoglio, quando le apparve l’ombra imprecisa di una figura umana.
L’apparizione emise un sospiro straziante e Gèneve, con insolito ardire, esclamò:
<<Che cosa sei tu, che usurpi quest’ora della notte?>>
L’ombra si rivelò: era lo spettro di suo padre. Egli non poteva trovare pace perché in vita, senza colpa alcuna, aveva causato la rovina di un nobile suo amico. Il rimorso, perciò, lo condannava a vagare tra la vita e la morte fino a che la sua vittima non avesse ottenuto giustizia.
Gèneve, commossa, rispose fra le lacrime:
<<Riposa, spirito turbato, riposa.Ti giuro che dedicherò la mia vita a ripagare quell’uomo del torto subito, così avrai requie, alfine!>>
L’ombra sparì, placata.
La luce del giorno tornò, il tempo trascorse. La vita nella grande casa riprese il suo ritmo abituale e la giovane donna quasi dimenticò la promessa fatta allo spettro di suo padre.
Un giorno, però il fato irruppe nella vita trasognata di Gèneve.
Accadde così: nel villaggio vicino veniva celebrata la festa per la nascita dell’erede dei Sullivan, i signori del luogo. Gèneve, spinta da un desiderio imperscrutabile, decise di recarsi al ballo, accompagnata da una fantesca.
Lì, come ad un crocevia del destino, si incontrarono tre personaggi: la nostra giovinetta e due uomini forestieri, estranei l’uno all’altro. Il primo, un giovane aitante con l’aspetto di un proprietario terriero, offrì a Gèneve la mano per danzare la gavotta. Nello stesso istante un altro ballerino, un individuo dall’aspetto inquietante, si avvicinò con la sua dama sottobraccio e prese la mano libera di Gèneve. Formarono così il tradizionale quartetto che si usa in questa danza, e si unirono agli altri ballerini.
Nel breve spazio di un ballo il mondo della fanciulla si capovolse. Ella si appoggiava morbidamente al seducente compagno alla sua destra e le sembrava di affidare a lui la propria vita. Sì, era sicura, quello era proprio Mark, tornato da lei dopo tanti anni! Nello stesso tempo, alla sua sinistra, l’altro uomo sussurrava storie lontane. Mentre Gèneve lo ascoltava sempre più turbata, comprese che quello era l’uomo ridotto in miseria da suo padre.
Ora quella voce era minacciosa.... cosa diceva? Esigeva un risarcimento, altrimenti ..... altrimenti avrebbe ucciso lei ed anche Mark!
Atterrita, straziata tra l’orrore per l’uno e la passione per l’altro, Gèneve fuggì.
Quelle che seguirono furono ore di tenebra. Nella sua stanza la donna si arrovellava, turbata dall’attrazione per Mark, spaventata dalle minacce del terribile straniero. Si chiedeva come fare per risarcire quest’ultimo e mantenere la promessa fatta al padre. Avrebbe venduto i gioielli che la madre le aveva lasciato in eredità. Oh sì, avrebbe fatto così e sarebbe stata libera!
Mentre, rasserenata, stava per assopirsi, udì un rumore di sassolini contro i vetri della finestra. A piedi scalzi si precipitò ad aprire le persiane e uscì sul balcone. Lì dabbasso c’era Mark, splendente sotto la luna e raggiante di passione. Lui le dichiarò il suo amore e lei, fiduciosa, gli svelò il suo segreto. Quando gli confidò la promessa fatta al padre, Mark le giurò che l’avrebbe aiutata a mantenerla. Poi altri discorsi, più teneri e leggeri, spazzarono via le angosce di entrambi.
Presto un cinguettio li riscosse dall’incantesimo. L’alba si avvicinava e Mark si accinse a partire, per non essere visto dagli abitanti della casa.
Gèneve, trattenendolo soavemente, implorò:
<<Già vuoi andare? L’alba è ancora lontana, quel che hai sentito era l’usignuolo, non l’allodola!>>
Ma invece era l’allodola, messaggera dell’alba. I due innamorati si dettero appuntamento alla sera. Gèneve intanto avrebbe venduto i gioielli. Mark poi l’avrebbe aiutata a consegnarli allo straniero, così l’anima inquieta del padre avrebbe trovato pace.
Infine Mark si dileguò. ..................................... |
|
|
|